IL grande filosofo Giulio Giorello – scomparso pochi giorni fa – ha scritto questo breve saggio inedito per l’Italia in cui ripercorre, attraverso le avventure di Corto Maltese, la visione di Pratt.

Testo realizzato nel catalogo della mostra Hugo Pratt, les chemins du rêve

Gran parte dei nostri sogni li viviamo con assai maggiore intensità

della nostra esistenza da svegli.

Hermann Hesse – Aforismi

 

Ha scritto Vincenzo Cerami: “Hugo Pratt coniuga la detective story e il racconto d’avventura, i colori esotici e le nebbie del romanzo gotico. Vale a dire che i personaggi, una volta usciti dalle ombre e dalle notti in cui vivono indagando e interrogando il buio, vengono come accecati da luci equatoriali malsane. Una sottile, perenne febbre che dilata gli sguardi accompagna la narrazione. Il crinale su cui si muove Corto Maltese è sottile, melmoso e divide in due il panorama: di qua l’ordine di un mondo razionale, dove convivono fervori e squallori degli appetiti mondani, di là il magma dell’eccessivo, del soprannaturale, dove si agita confuso il sincretismo di religioni e rituali sacri. In questa dimensione ‘antropologica’ il tempo si sfalda e svapora. Gli intrighi, gli agguati, le apparizioni improvvise sono tipici della letteratura nordica, dove appunto scarseggia il sole; gli omicidi assolati come quello dello straniero di Camus, frutto di un delirio dello spirito, chiamano fondali meridionali o orientaleggianti, disseminati di templi antichi e pratiche magiche”1.

Una ballata del mare salato si apre con una data, il 1° novembre 1913, e in un luogo ben preciso della Polinesia; la situazione politica pare già ampiamente definita, presentando i prodromi del primo conflitto mondiale. La sua lunga vicenda corale, perciò, appare fin da subito fortemente ancorata alla realtà. Tuttavia, pur nella sua concretezza, fra sommergibili germanici e cacciatorpediniere britannici, misteriosi monaci e pirati polinesiani, qualcosa si cela dietro le atmosfere raccontate da Hugo Pratt: un altro piano di lettura. Un realismo fantastico, onirico, e a volte metafisico strettamente collegato alla grande passione dell’autore: narrare l’avventura. La lunga saga che da questa vicenda prende il via, quella del marinaio Corto Maltese, contemplerà la presenza ripetuta e costante di una dimensione magico-fantastico-onirica. Della quale il lettore, forse anche solo inconsapevolmente, si è già accorto. Cosa pensare, per esempio, di tutti questi indigeni polinesiani che parlano argutamente usando la calata veneta? Il lettore esercita fin da subito, quella straordinaria capacità della mente che è la sospensione dell’incredulità, alla quale Pratt, come tutti i narratori, si rivolge per raccontare il proprio universo. Come scriveva il poeta Samuel Taylor Coleridge nel 1817 nella sua Biografia Letteraria: “I miei sforzi dovevano indirizzarsi a persone e personaggi sovrannaturali, o anche romanzati, e a trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare per queste ombre dell’immaginazione quella volontaria sospensione del dubbio momentanea, che costituisce la fede poetica”. Non a caso, dalle pagine di questa iniziale avventura di Corto Maltese, fra le dotte citazioni emerge anche quella della Ballata del vecchio marinaio.

Accettando come dato di fatto che nella Polinesia d’inizio Novecento gli indigeni parlino tale idioma (“Me domando cosa xe sta quel tombo che avemo sentio”, dice uno. E l’altro, “Sarà casca’ un sasson…”), il lettore si ritrova catapultato scientemente in un altro universo nel quale è possibile tutto ciò che nella nostra “realtà” definiremmo fantasia, immaginazione, sogno. Non solo, lo stesso Corto afferma, rivolgendosi a Rasputin: “Ma se non aspetti altro per avere spazio e tempo, che poi sono la stessa cosa…”. Una concezione relativistica che, proprio negli anni in cui Corto Maltese scorrazza per l’Oceano Pacifico, ha cominciato a prendere corpo grazie a un impiegato dell’ufficio brevetti di Berna (e futuro premio Nobel per la fisica), Albert Einstein.

Con queste premesse, il lettore sa di viaggiare alternativamente, e a volte in maniera indistinguibile, fra universi distinti ma sovrapposti, a volte senza alcuna soluzione di continuità. E può calarsi in situazioni oniriche, fantastiche, paradossali, tanto reali quanto la realtà stessa del racconto che va svolgendosi di volta in volta. Assistendo a riti di magia nera e di vudù, a incursioni nel mito e in sogni eterei come all’incontro del protagonista con grandi personaggi della storia e della letteratura, da Jack London a Manfred von Richthofen, il Barone Rosso, per citarne che due.

E se Una ballata del mare salato può essere considerata una sorta di straordinario unicum nella carriera di Corto Maltese, nel quale il marinaio con l’orecchino si districa con tutta una serie di compagni di avventura, primo fra tutti la sua nemesi Raspuntin, dal nostro abituale punto di vista la saga del personaggio raggiunge la sua massima espressione a cominciare dagli episodi apparsi sulla rivista francese “PIF” dal 1970 in poi… Già nel primo episodio, Il segreto di Tristan Bantam, fanno capolino il mitico continente scomparso di Mū e ipotetici atlantidei extraterrestri, uniti a più terrene e spietate faccende di eredità, insieme a magiche rivelazioni per il giovane Tristan, che si è rivolto a Corto per ritrovare la sorellastra Morgana. Proprio da parte di quest’ultima, misteriosamente per noi lettori che viviamo nel “nostro” universo, ma non agli occhi di Corto Maltese, gli perviene una missiva che è tutto un programma: “È una lettera con i simboli magici della ‘macumba’ brasiliana, press’a poco la stessa cosa del vudù dei Caraibi. È scritta in portoghese: tu sei chiamato per essere trasformato in energia. La tua vita comincia adesso…” 

roprio il giovane Tristan è protagonista del primo palese momento onirico della saga, nell’episodio successivo, Appuntamento a Bahia, a casa di Morgana, raggiunta insieme a Corto Maltese e al professor Jèrémiah Steiner. Il giovane sta leggendo un libro quando una folata di vento lo catapulta al centro di un cerchio di statue, per essere spinto dalla propria ombra verso il portale che conduce alla perduta Mū. Poi, uno stregone che sembra uscito dalle pitture che adornano le piramidi precolombiane, gli fa capire che la realtà può non essere soltanto una e che gli stessi sogni fanno parte di universi che convivono in parallelo con quello che lui conosce. Un sogno che sarà il presagio della conclusione della sua ricerca, molti anni dopo, al termine della saga di Corto Maltese, nell’episodio Mū, la città perduta.

Inutile qui ripercorrere tutte le imprese e soprattutto le ricche atmosfere del personaggio creato dal “Maestro di Malamocco”, come Oreste Del Buono aveva ribattezzato Hugo Pratt. Ricordiamo soltanto che a un certo punto l’aspetto magico-fantastico finirà con il prendere il sopravvento, immergendo il nostro eroe in un mondo sempre più etereo, ed esoterico. 

Prima di passare alle Elvetiche, momento fondamentale del realismo onirico di Corto Maltese, soffermiamoci brevemente su alcuni esempi nei quali l’aspetto visionario rappresenta il primo motore e il protagonista assoluto dell’azione, senza coinvolgere necessariamente lo stesso Corto, ma ponendolo dinanzi ai suoi esiti. Come nel caso di La laguna dei bei sogni: situata alle foci dell’Orinoco, è un luogo infido e malsano, nel quale la malattia e le febbri inducono i peggiori incubi. Quaggiù il marinaio incontra un disertore inglese, Robert Stuart, gli occhi pesanti e gravidi di febbre, lo sguardo stanco di chi ha trascorso la vita a fuggire dai propri errori e dalle proprie ossessioni, per andarsi a rifugiare in un luogo dal quale “quando si comincia a sognare non ci si sveglia più”. Sarà il destino di Stuart, che vedrà scorrere davanti agli occhi commilitoni e avversari, l’amata Evelyne e perfino sua madre. Suadenti in un’illusione di una gloria che nella realtà non c’è mai stata, nel tentativo di scacciare “tristezza e malinconia, ansia infinita”. “Andate via”, canta varcando una soglia che soltanto lui vede e che nel sogno lo emenderà delle proprie colpe. Corto lo ritroverà sorridente, ormai cadavere. Morto prima dell’alba di un nuovo giorno, o di una nuova vita, senza aver preso il farmaco che gli avrebbe garantito la sopravvivenza. E quando Corto se ne lamenta con un indigeno, la risposta non può che far riflettere: “Quest’uomo era felice… Guardava la Laguna dei bei sogni e vedeva le cose come ne aveva voglia… Perché privarlo del suo sogno e farlo tornare alla realtà dove non c’è sole, né gioia… ma solo notte, tristezza e malattia…?” Quanti, nel nostro mondo, si adagiano in tali sogni artificiali, per eludere una personale realtà che non li soddisfa? E quanti, fra loro, vi si perdono per sempre?

Più avanti, quando Corto Maltese ha abbandonato le atmosfere dell’emisfero meridionale, il setting di un’intera, nuova avventura nel regno di Morfeo è uno dei luoghi più magici e misteriosi del mondo: Stonehenge, nella piana di Salisbury, Inghilterra. Fra gli inquietanti lastroni che si stagliano da millenni contro il cielo, un Sogno di un mattino di mezzo inverno (ovviamente di derivazione shakespeariana) riporta in vita i personaggi della quasi omonima commedia del Bardo. Sono proprio due suoi protagonisti a dare il via, nel vento che spazza la pianura, a un preoccupato dialogo che coinvolge il nostro piano temporale. Un sommergibile tedesco, grazie a un’affascinante spia, è in procinto di eliminare l’intero Stato maggiore alleato, che dovrebbe riunirsi nel “Castello di Re Artù”. E queste favolistiche creature non possono permetterlo, poiché “con i germanici arriveranno qui anche tutti i loro trolls, i loro dwarfs, e i Nibelunghi, i draghi, le fate continentali e quelle della Foresta Nera… Siamo in pericolo… Tutti gli elfi e le fate d’Inghilterra dovranno difendersi. Evocati anche la Fata Morgana e il Mago Merlino, paladino della loro causa diviene un marinaio con l’orecchino che giace disteso e sonnecchiante nell’erba. “Forse sta sognando”, dice di lui Morgana. Però, Merlino diffida: “Sta sognando a occhi aperti, e chi sogna a occhi aperti è pericoloso, perché non sa quando finisce il sogno”.

In compagnia di Puck, che ha assunto le sembianze di un nero corvo parlante, Corto Maltese, dopo aver raccolto le ultime parole di un ufficiale inglese traditore, sventa il piano della moglie di quest’ultimo, la  vera spia, salvando gli alti ufficiali. Però… forse, aveva ragione Merlino, poiché al termine dell’avventura Corto si risveglia dimentico di tutto ciò che ha vissuto, ma consapevole di aver già vissuto quel momento. Cosa che Hugo Pratt rende ancora più evidente ripetendo disegni e battute dei personaggi. Allora, ci si potrebbe chiedere, qual era la vera realtà? Quella di Puck e Oberon, oppure quella del sommergibile tedesco? E chi stava sognando chi? “Evidentemente era un sogno, conclude il marinaio, prima di allontanarsi seguito da Puck, sempre nelle fattezze del corvo parlante. Che, a tutti gli effetti, “di questo sogno è l’unica cosa concreta che mi resta”. Concreta, si badi, nell’universo fantastico che va sempre più prendendo corpo nella saga di Corto Maltese.

Tale “conversione” al fantastico puro è ancor più evidente nelle tre ultime storie delle quali ci occupiamo. Cominciamo da Favola di Venezia, una vicenda sospesa come non mai fra onirismo e realtà. Incuriosito da una lettera ricevuta dal Baron Corvo (pseudonimo dello scrittore inglese Frederick Rolfe Corto Maltese si è recato a Venezia alla ricerca della “clavicola di Salomone”, un amuleto magico,). Nella città lagunare, il marinaio finisce per incontrare personaggi come il poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio e la filosofa Hipazia, per non dire degli adepti di una loggia massonica nel bel mezzo di uno dei loro riti. Nell’ennesimo inseguimento sui tetti della città, Corto Maltese scivola su una tegola smossa e precipita… ma verso l’alto, diventando protagonista di una scena ricca di simbolismi arabeggianti. Fra questi, una lampada di Aladino dalla quale emerge un genio con le fattezze di Rasputin. Ne segue un dialogo serrato e bizzarro, che conduce il marinaio dinanzi alla punta di alabarde, in procinto di essere eliminato. E per sfuggire al pericolo, a Corto rimane solo un modo: nell’ultima vignetta della scena, si leva il cappello con aria felice e beata, dicendo al lettore più che al genio della lampada: “Ora mi sveglierò e uscirò da questo sogno matto”. Per risvegliarsi dopo tre giorni di delirio in un letto, a casa di Louise Brookszowyc (ispirata all’attrice Louise Brooks). Il gioco di Pratt è divertito come il suo personaggio, al punto che al termine della vicenda Corto Maltese convoca i personaggi come sul palcoscenico di un teatro, ripresentandoli al lettore/spettatore della vicenda nella corte veneziana dove era nascosta la “clavicola” che cercava. E salutando Hipazia, in quel 25 aprile, ricorrenza di San Marco, le consegna un “boccolo”2.  con “i miei più affettuosi ringraziamenti per avermi accompagnato in questa fiaba…” Rivolgendosi quindi al lettore, prima di ritrovarsi in tasca proprio quanto ha cercato per tutta la vicenda: il talismano di Salomone. A Venezia “succedono cose incredibili”! Poi, rivolgendosi al misterioso manufatto, Corto continua: “Sarà meglio non indagare. Potrei scoprire che sei fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni.” Lo Shakespeare di La tempesta e Pedro Calderon de la Barca avrebbe approvato. Come forse sarebbero stati d’accordo con l’uscita di scena del marinaio, che, bussato a una porta della corte, chiede di entrare “in un’altra storia, in un altro luogo”. La corte veneziana ora è deserta, ma una didascalia ci informa che: “ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al Ponte delle Maravegie; un terzo in Calle dei Marrani a San Geremia in ghetto. Quando i veneziani (qualche volta anche i maltesi) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”.

Tra queste, ve n’è una che porta Corto Maltese in Svizzera, fino alla casa di Hermann Hesse. Il personaggio segue così le orme del suo autore, Hugo Pratt, che alla fine del 1983 si era trasferito a Grandvaux, nei pressi di Losanna, lasciando Parigi alla ricerca di un buen retiro, che fosse per lui, come ha scritto il critico Luca Boschi, “soprattutto uno stato d’animo, il rifugio perfetto per riordinare un cumulo di esperienze fatte altrove”. Nonché la sua imponente biblioteca di 17.000 volumi, fino a quel momento sparsa qua e là per il mondo. 

Laggiù Pratt scrive e disegna La Rosa Alchemica, storia che in seguito diverrà nota come Le Elvetiche. Scrive in proposito Gianni Brunoro: “Con Elvetiche, la faccenda cambia registro. Corto è andato insieme a Steiner a incontrare Hermann Hesse, a Montagnola. Lì, scivola in una delle sue fantasticherie, leggendo Parzifal ne entra fra le pagine per cercarvi Rosa Alchemica. Pur consapevole di vivere una favola dentro un sogno, Corto filosofeggia su faccende mistiche ed esoteriche, discute con quel calice che è la Rosa Alchemica, e che si saprà poi essere il sacro Graal, e alla fine ne beve l’acqua fresca. Con ciò, ha assunto l’elisir di lunga vita, diventando un ‘perenne’, ormai immortale, e invecchierà solo attraverso i sogni degli altri… Ma una volta uscito dal sogno, quando va a salutare Hesse, costui gli consegna un anello, che già nel sogno Corto egli aveva ricevuto e là dimenticato. Si ha dunque una problematica saldatura fra realtà e sogno. E’ un crisma da cui Corto non si libererà più”3.

Chi è sordo alla voce della fantasia rischia di relegare le figure che essa via via crea nel dominio dell’insensato: così si sente rimproverare Corto Maltese, arrivato (con il suo vecchio amico il professor Jérémiah Steiner) a Montagnola. E ribatte: “Non è vero… Io credo… nella fantasia dorata celtica e anche in quella verde tropicale… il vudù”. Però aggiunge: “Ho dei dubbi su quella svizzera…”. Sta dialogando con delle figure che ornano una parete di un salone del XIV secolo; e una di queste gli si rivolge con queste parole: “Mi meraviglio di lei, Corto Maltese… Non lo sa che si può entrare nel mondo della fantasia anche qui… in Helvetia? Basta leggere un libro delle nostre fiabe distesi sul letto verso mezzanotte… e rivisitare la stessa riga finché non se ne capisce più il senso”. Corto Maltese: “È vero. Mi succede spesso di dimenticare la prima parola quando arrivo all’ultima della stessa riga. II sonno è un grande ladro”. E il suo interlocutore: “Giustissimo! È proprio un grande ladro, ma è in quell’attimo che si può intuire cosa si poteva scrivere negli spazi non scritti che il poeta ha lasciato tra riga e riga… ed è allora che si può entrare nella leggenda per risvegliarsi in un giorno fatato. Ma, intanto, l’amico Steiner chiede perplesso a Corto che cosa gli stia mai succedendo, perché stia parlando da solo. Le figure sulla parete sono scomparse. I due sono ormai nella dimora di chi ha invitato il professor Steiner; si tratta, nientedimeno, del grande Hermann Hesse, che li raggiungerà solo il giorno dopo. Frugando nella biblioteca del grande scrittore, Corto Maltese trova il testo di una novella di Hesse, L’ultima estate di Klingsor. Il paziente ed erudito Steiner allora gli spiega: “Nei racconti medievali si narra del Calice del Santo Graal e del suo purissimo custode Sir Percival che dichiara essere nato a Sinadon, in Waleis. Tutti hanno pensato a Snowdon del Welsh… ma le ultime interpretazioni vogliono che Snowdon del Waleis sia la Sion del Valais svizzero con i suoi due castelli, uno dove si trovava il Graal e l’altro dove si trovava la rosa del peccato…” Quest’ultima pare destare l’interesse di Corto Maltese. La Rosa del Peccato è “un poemetto tedesco medievale che narra la storia di una principessa ninfomane e bellissima” e, spiega ancora Steiner, si racconta anche di un cavaliere che si sarebbe evirato per non cadere vittima dei sortilegi di questa “Rosa”: è Klingsor, alla fine diventato anche lui “un cavaliere stregone” e costretto a personificare l’antitesi di Sir Percival. Accomiatatosi dal professore, Corto si reca dove c’è una stanza per lui, alla “Pensione Morfeo. Sogni assicurati”. E infatti sognerà di attraversare un campo di girasoli non privo di pericoli, dato che qui incontrerà persino la Morte, da cui però riesce fortunosamente a scappare; e mentre la falce della nera Signora taglia spietatamente i girasoli, Corto Maltese cerca disperatamente di “trovare il modo di uscire da questo incubo”, anche se non gli pare davvero di sognare, poiché “tutto quello che succede ha qualcosa di… incredibile, ma falso!”

Così Hugo Pratt è riuscito a rovesciare quella onirica la logica della cosiddetta realtà: Corto Maltese, anzi Sir Corto, come lo chiamano adesso, constata grazie alle parole di Klingsor che “a questo punto tutto può essere invenzione… Perfino il lettore che ci conoscerà domani può essere una nostra immaginazione. Con Klingsor, comunque, Sir Corto arriva al Castello del Graal, affascina corvi neri e un “orco” bruno; questi non è altro che un gorilla africano, arrivato lì anche lui “a causa di un sogno” e che aspetta soltanto di essere “messo in contatto” con chi, molto lontano, “sta progettando una grande avventura per me in un posto chiamato Hollywood, L.A., California”. Dopo un piccolo intermezzo, “una vacanza dalla contegnosità”, Sir Corto deve infine recarsi al castello, allo scopo di prendere per Klingsor la rosa alchemica e poter quindi “ritornare sul sentiero dei passi perduti”. E il castello gli chiede: “Tu sei Sir Corto? Cosa vuoi?”; e Corto: “Io? Vorrei andarmene, ma non riesco a svegliarmi!” Gli ribatte il castello: “Ma risvegliarsi da cosa? Non hai capito che stai sognando la realtà.”

Grazie a una grande spada messa per traverso, Corto riesce ad attraversare il fossato di guardia; poi supera un fuoco onirico che (ovviamente) non lo brucia e infine quattro scheletri musicanti lo invitano a danzare con loro. “Sir Corto, che musica preferisci?” “Qualcosa per sgranchire le ossa. Oh, scusate, volevo dire sgranchire le gambe.”

Penetrato nel castello, Sir Corto trova, versata dalla Fonte della Rosa “una bella sorgente d’acqua fresca”. C’è pronto anche un calice, però incatenato. “Chissà quale arcana simbologia!”, si chiede. Niente affatto, è così per evitare che bevitori distratti se lo portino via. Dissetatosi, il nostro trova anche la rosa alchemica: “Io sono la Rosa Alchemica, che vuole dire anche scienza dorata, filosofia maledetta, pietra filosofale, prostituzione magica, amore sacro e tante altre cose. Dipende da chi mi si avvicina… e con quali intenzioni”. Comunque, la Rosa si lascia condurre da Klingsor “a donare un po’ di gioia a colui che, per causa tua, è diventato un cavaliere malvagio…”.

Tutto a posto, allora? “Sir Corto, volevi andartene così, su due piedi…” Una turba di demoni blocca Corto Maltese: ha bevuto dalla fonte della giovinezza “usando il sacro calice contenente non ho mai be capito cosa”. Esso “dona l’immortalità”, anche se “di fonti della sempiterna giovinezza e di coppe sacre è piena la Terra. Tutte ben nascoste nei meandri della vanità umana.” E se davvero Corto vuole andarsene, dovrà affrontare il giudizio del Gran Tribunale Infernale. Nel presentare la giuria, la fantasia storico-religiosa di Hugo Pratt si scatena: Caino, Giuda Iscariota, Balal, il costruttore della Torre che pretendeva di raggiungere il cielo, il demoniaco Mago Merlino, “Ewa”, che per vanità tradì il marito con un serpente” e poi Giovanna d’Arco detta “la telegrafista di Dio” perché ne ascoltava le voci, Bertrand de Got, detto Papa Clemente V il persecutore dei templari, e poi Gilles de Rais, compagno d’armi di Giovanna d’Arco e alchimista, Dick Turpin, bandito di strada e assassino; e come decimo, “una vecchia conoscenza” di Corto, l’implacabile Rasputin. Satana farà da pubblico ministero e Klingsor si offre come difensore. Sir Corto è accusato di “essersi dissetato alla fonte dell’eterna giovinezza” e insieme “di non voler rispettare il patto della sacra allegrezza” che per questo “impone l’appartenenza alla nostra confraternita infernale”.

Klingsor terrà un’arringa memorabile, il cui incipit riecheggia i Vangeli: “La legge è fatta per l’individuo oppure l’individuo per la legge? Per liberarsi da qualsiasi determinismo soprannaturale l’uomo ha voluto aggiungere l’affermazione della sua autonomia di fronte all’autorità terrena… Sir Corto non fa parte del nostro mondo immaginario. Egli appartiene a una realtà dove le libertà pubbliche dovrebbero essere considerate come diritti naturali, indipendenti dalla volontà del potere, che non potrà né sopprimerle, né ridurle”. 

E i testimoni, dalla Morte al gorilla, dagli scheletri musicanti alla Rosa Alchemica, e persino la coppa del Santo Graal, attestano l’innocenza di Sir Corto. Lui potrà ripercorrere così il proprio cammino onirico fra i girasoli, fino alla pensione “Morfeo”. Risvegliatosi, farà infine la conoscenza del grande Hermann Hesse, letterato e filosofo attento insieme ai tratti generali dell’esistenza umana e ai caratteri particolari che fanno di un individuo qualcosa d’irripetibile. Hugo Pratt ha saputo far tesoro di questa lezione in tutta la saga di Corto Maltese, che è al tempo stesso una ricerca di ciò che è “umano, troppo umano” senza mai dimenticare quello che rende ogni individuo differente da tutti gli altri.  Insieme a Hesse Corto s’imbatterà nell’affascinante Tamara de Lempicka, che gli offrirà un passaggio in auto fino a Zurigo. A che scopo? “Cercherò di ritrovare un sogno”. 

“Potete sempre svegliarvi”, cerca di concludere Corto. Al che la regina ribatte: “È un sogno che non vogliamo fare”. Ma è solo la regina a parlare? Oppure il maestro di Malamocco con queste parole indica un proclama di vita ai lettori?

Siamo ormai alla fine della vicenda. Nonostante l’aiuto di Tristan Bantam e dell’aviatrice Tracy Eberhard, precipitata sull’isola con il suo aereo, la situazione precipita e l’isola vulcano esplode con cataclismatica violenza, portando con sé per sempre il segreto della città perduta. A ben vedere, non poteva essere altrimenti. Il mito e la leggenda devono rimanere tali, vivi soltanto nelle visioni più sfrenate dei sognatori a occhi aperti. Poiché, come diceva Edgar Allan Poe: “Chi sogna anche di giorno conosce più cose di chi sogna solo di notte”.

E Corto, nelle vignette finali: “C’è un grande mondo sotterraneo… Però, non riesco più a capire se l’ho sognato oppure l’ho visto”. Mancano dei testimoni imparziali! Uno dei compagni d’avventura, tra i finanziatori della spedizione, sembra rimanere con le semplici domande di qualsiasi cercatore di terre perdute. Dice, quasi balbetta, Levi-Colombia: “ma… allora Mū… e l’Atlantide esistono?” Quella parola, esistono, è il tormento di esploratori, geografi, storici e… metafisici di ogni epoca. Ribatte Corto: “Prima di questa esplosione vulcanica, l’isola era una delle entrate per Mū. Ora… bisognerà cercare le altre. Una a Tikal, nel Gautemala… Un’altra nell’Isola di Pasqua… Un’altra ancora in Etiopia, e così via oppure ritrovare un labirinto armonico e gli dei che fissano le stelle”. Commenta Levi-Colombia: “ Sembra tutto così poetico. Cosa è successo, Corto?” Il marinaio: “Credo siano successe molte cose… ma non ho le idee molto chiare, forse bisognerebbe ricominciare. Forse…” Ma è il momento di partire.

Del resto, fin dalle pagine iniziali di Corto Maltese ci aveva avvisato: “Le migliori risposte si danno quando non ci sono domande”. Non è che magari, nel corso di tante peripezie, ha incontrato anche Ludwig Wittgenstein?

Mū, la città perduta anticipa di poco il termine della parabola terrena di Hugo Pratt. Uno dei più grandi sognatori del Ventesimo secolo varca idealmente una delle tre porte segrete delle calli di Venezia ed entra in un sogno ancora più vasto, per vivere nuove avventure insieme alla sua creatura-alter ego, il marinaio Corto Maltese.

  1. Viaggio nell’anima di Corto Maltese, in Corto Maltese – Samba con Tiro Fisso e altri racconti, Gruppo editoriale L’Espresso, Milano 2006, pp. 6-7.
  2. Un bocciolo di rosa.
  3. Gianni Brunoro, Hugo Pratt, il viaggio esoterico in una insolita, magica svizzera, La Tribuna di Treviso, 23 settembre 2003.